venerdì 1 ottobre 2010

L’ULTIMO DOMINATORE DELL’ARIA ovvero Un film che avete già visto, anche se non l’avete ancora visto



Dieci caffé al bar, un libro, un biglietto del treno Ravenna Bologna andata/ritorno, 42 uova, questi sono solo alcuni dei modi in cui potreste spendere meglio i dieci euro del biglietto della proiezione 3D de “L’ultimo dominatore del vento”.
Il film dalla trama infantile e ridondante ha solo un pregio, quello di mettere perfettamente a  nudo il giochetto delle case di produzione per fabbricare pellicole da “incasso sicuro”. Il metodo è quello di prendere i film che hanno sbancato il botteghino e replicarne i tratti distintivi. Questa pratica che è sempre stata applicata, spesso anche con ottimi risultati, in tempo di crisi si è fatta talmente plateale da togliere ogni minimo aspetto innovativo alle pellicole. “L’ultimo dominatore dell’aria” potrebbe essere studiato nelle scuole di cinema come esempio di frankenstein cinematografico. La struttura e l’ambientazione è presa dal Signore degli Anelli, il personaggio bambino-monaco che si reincarna è il piccolo Dalai Lama di “Kundun”, i ragazzi che devono imparare a dominare gli elementi sono i maghetti di “Harry Potter”, il mostro peloso gigante è lo stesso de “La storia infinita”, i combattimenti kung-fu a rallentatore sono i copiatissimi effetti di “Matrix”, eccetera.
A dare un tono di finto impegno non può mancare l’ambientalismo da due lire (anzi due dollari) di Avatar con tanto di personaggi che lottano per salvare un pesce-“spirito della luna” dai cattivi.

Il film riesce ad essere di un didascalico disarmante sfoggiando un manicheismo “buoni contro cattivi” molto rassicurante. I personaggi non fanno altro che spiegare cosa stanno facendo ripetendo “stiamo facendo questo per questo motivo!”.
Esempio di dialogo:
“devo trovare l’avatar per poter essere riammesso come figlio del re”
“ma cosa stai facendo?”
“sto cercando l’avatar per poter essere riammesso come figlio del re”
“ma perché lo stai facendo?”
“per poter essere riammesso come figlio del re”
“ha! Ma quindi stai cercando l’avatar per poter essere riammesso come figlio del re!”
“Ebbene sì, lo confesso, sto cercando l’avatar per poter essere riammesso come figlio del re”

Il tocco di genio degli studios è quello di inserire un nome d’autore nel film per dare (a parer loro) un’autorevolezza al prodotto. I casi di questo genere sono innumerevoli quanto inspiegabili: da Ang Lee con “Hulk” a Tim Burton con “Alice in Wonderland”. Questa volta a prestarsi è stato M. Night Shyamalan, regista del “Sesto senso”, che ha venduto il suo nome-marchio a un film che potrebbe aver diretto veramente chiunque.

Insomma gli ingredienti della ricetta sono stati ben scelti, ma amalgamati male, manca il sale e soprattutto la passione.

UMORISMO INVOLONTARIO

RANCORE SUSCITATO

EFFETTI SPECIALI BECERI

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