martedì 11 gennaio 2011

TRON LEGACY ovvero Se non c'è la trama almeno c'è la moto-fotonica


Dopo il Natale succede che uno si ritrova con la cintura che non si chiude più per colpa dei cenoni e la mente confusa dalla annuale scarica di idiozia prodotta da Boldi-De Sica. Ma è inutile negarlo: al cinema si va soprattutto per intrattenimento, anno nuovo, stessa vita. Quindi sotto col prossimo kolossal. Tron: Legacy è un fumettone che sarebbe sciocco snobbare, perché se non altro è una vera goduria per gli occhi e per una volta non fa venir voglia di prendere a bastonate la cassiera dopo aver speso tre euro in più per occhialini 3D che danno solo noia e non servono a un tubo. Qui il 3D ha un senso eccome, visto che l’intero film non è altro che un’interminabile sequenza di effetti speciali.
Dice: ma la trama dove la metti? Beh una trama si trova. Fa un po’ acqua in qua e in là, c’era da immaginarselo, ma a un film del genere glielo si può anche perdonare. Quello che invece non si perdona a Tron è la consueta dose di scene con montagne di calci e schiaffoni in stile Matrix, capolavoro di un decennio fa che però ha rovinato buona parte dei film d’azione degli anni successivi, in cui guardacaso a un certo punto compare sempre un tizio che volteggia da una parte all’altra tirando sganassoni al rallentatore senza spettinarsi mai e con la camicia curiosamente in piega.
Tron per fortuna offre anche altro. E’ il seguito del film che nel 1982 aveva fatto un casino pazzesco, considerato pura avanguardia da legioni di fan perché metteva in scena per la prima volta la realtà virtuale. La meteora Steven Lindsberger era diventato dal nulla una celebrità come regista, salvo poi sparire dalla circolazione dopo aver collezionato un flop dietro l’altro con le pellicole successive.
Ma gli schei sono schei e quando la Disney bussa alla porta sarebbe da cretini non farsi trovare in casa. Così il nostro ha scritto e prodotto questo nuovo capitolo, diretto dallo sconosciuto Joseph Kosinsky. Al quale è stato staccato un assegno di 170 milioni di dollari per non badare a spese e mettere in piedi questo frullatone fatto di sfavillanti costumi minimal, rombanti veicoli virtuali, mobili rigorosamente moderni e cool, bonazze galattiche, colonna sonora house (dei bravissimi Daft Punk), resistenti contro l’impero, imperi contro i resistenti, e raffiche di luci al led sparate negli occhialini 3D.
Poi sì, da qualche parte c’è anche la storiellina di Sam Flynn, figlio del geniale programmatore ed ex amministratore della ENCOM dato per disperso negli anni ‘80, dopo essere stato risucchiato dal mondo virtuale che lui stesso aveva creato. Il ragazzotto potrebbe godersi la vita con le palate di miliardi di papà e invece vuol farsi del male. Sam entra nella scalcinata sala giochi di famiglia e dietro a un cabinato anni ‘80 trova il laboratorio del vecchio padre. Pa’, farò di tutto per trovarti e portarti a casa. Inserito il gettone, il videogioco comincia. Questo - dicevamo - l’inizio della storiellina, che quindi c’è. Virtualmente, si intende.
Luca Fabbri

UMORISMO INVOLONTARIO


RANCORE SUSCITATO


EFFETTI SPECIALI BECERI

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