Il primo capitolo era costato quanto un paio di ciabatte dell’Upim, i protagonisti formavano una coppia di favolose nullità pescati su Craigslist (Wikipedia parla di 500 dollari a testa come compenso pattuito), e Oren Peli era un signor nessuno, una carriera tutta da costruire e probabilmente il mutuo da pagare. Il suo film è stato deriso in milioni di modi: su YouTube sono cliccatissime parodie e prese per i fondelli doppiate in tutte le lingue del pianeta, e non è dato sapere se a qualcuno sia pure piaciuto, fatto sta che – come spesso succede per fenomeni da baraccone simili – in milioni lo sono andati a vedere. Il caso cinematografico dell’anno. Visti gli incassi superiori al PIL di qualche decina di paesi africani messi insieme, i furbacchioni di Hollywood hanno sfornato il seguito dopo appena qualche mese. Non c’è da stracciarsi le vesti: pecunia non olet, punto e basta.
Per essere sicuri di non steccare, gli autori di Paranormal Activity 2 hanno pensato bene di scopiazzare a man bassa da Paranormal Activity 1. Tant’è che nella trama, ambientata qualche giorno prima degli eventi del primo episodio, ricompare pure la coppia di sgangherati protagonisti.
Zero novità, zero fantasia; tutto è stato meticolosamente messo a punto per rifare di nuovo lo stesso film, solo con meno momenti morti: telecamere pressoché fisse, questa volta piazzate in diversi angoli della casa a mò di Grande Fratello, porte che si aprono e sbattono da sole, pentole appese in mezzo alla cucina che cadono nel cuore della notte, qualcosa di innafferrabile che arriva quando meno te lo aspetti, gente trascinata dal nulla giù per le scale, tonfi da far tremare il pavimento e soprattutto il silenzio che avvolge ogni stanza. Il pastore tedesco ringhia come se avesse visto chissà cosa, la domestica lancia macumbe per esorcizzare il demonio, la famigliola non sa che pesci pigliare. Va da sè che a nessuno viene la banale idea di prendere la macchina e andare a tavoletta via dall’inferno, sennò tutto finirebbe dopo 5 minuti. La storia – che a malapena si regge in piedi – neanche a dirlo rimane irrisolta, ci sarà di sicuro un sequel e probabilmente un altro prequel, magari con titoli mai visti come “Apocalypse“, “Evolution” o “Legacy“.
Insomma, trattasi di una spudorata operazione commerciale studiata a tavolino per battere il ferro finché è caldo e portare le masse al cinema. Si da il caso però che questa volta la suddetta operazione commerciale studiata a tavolino riesca fare quello che deve fare un film di questo genere: mettere tensione. Complice il silenzio, le inquadrature e il colore da paranoia delle riprese notturne. In fin dei conti tutto dipende dalla ragione per cui si va a vedere un horror. Qui un’ora e mezza fila via senza sbadigliare e qualche volta ci si spaventa pure. Serve altro?
Luca Fabbri
UMORISMO INVOLONTARIO
RANCORE SUSCITATO
