lunedì 31 gennaio 2011

IMMATURI ovvero Regista e attori bocciati alla maturità


Non c’è niente da fare, certi film andrebbero evitati come la peste. Basterebbe guardare i nomi nella locandina di Immaturi per farsi di nebbia davanti alla cassa, i nomi sulla locandina occupano più spazio della grandezza della locandina stessa, sembra una raccolta firme di Repubblica, sempre le stesse facce con i vari Raoul Bova, Ambra Angiolini, Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Barbora Bobulova e compagnia bella. Mancano giusto Riccardo Scamarcio e Luciana Littizzetto e il patatrac è fatto.

Chi va al cinema a vedere questo Immaturi, si metta pure il cuore in pace, perché per quasi due ore vedrà cazzeggiare la solita pletora di mezze cartucce, di attori che non sono attori, di buone braccia sottratte all’agricoltura, arruolate con cadenza semestrale per mettere in scena l’ennesima commediola senz’arte nè parte, uguale a tutti i vari Manuali d’Amore, Commediesexi e Notti Prima Degli Esami, che al botteghino poi fanno sempre centro, chissà perchè. Però, santo cielo, mai un attore di caratura mondiale, mai un Matt Damon, una Penelope Cruz, un Jude Law o un Javier Bardem, sembra che dall’Italia possa venir fuori solo Claudio Bisio. Poi per forza che da anni gli Oscar li vediamo col binocolo. Grazie tante.

Si dirà: ma uno al cinema ci va per farsi quattro risate in leggerezza. Vero, ma qui i momenti di autentica ironia sono numerosi quanto gli elettori di Francesco Rutelli, mentre la trama – che pure è retta da una buona idea di partenza – finisce per naufragare nella consueta melassa buonista tipica di questi film, fatti di compagnie di unici e inseparabili superamici, scazzi reciproci che finiscono a tarallucci e vino, quotidianità ostentate, sorrisoni grandi così, bambini saccenti ma simpatici, musichette di sottofondo vivaci ma non troppo, perfette come colonna sonora per qualche pubblicità del Mulino Bianco.

Tutto ha inizio quando a sei ex compagni di liceo arriva una lettera dal ministero, in cui si dice che per qualche oscura ragione dovranno rifare l’esame di maturità. Qualsiasi persona dotata di un minimo sindacale di senno si presenterebbe dopo due minuti dalla Gelmini per farle un mazzo così, loro invece no, cacciano giusto un urletto, ma poi alla fine hanno troppa voglia di rituffarsi nella loro giovinezza e quindi si rimettono a studiare. Tutti insieme, come ai vecchi tempi, stessa storia, stesso posto, stesso bar. Sarà un momento per riscoprirsi e crescere ancora, a trent’anni e passa suonati. Bamboccioni a chi?

Chi non si addormenta prima, riuscirà ad arrivare al giorno dell’esame. Tutti gli altri non avranno perso niente, tanto figurarsi se il signor Paolo Genovese – la mente dietro alla Banda dei Babbi Natale – poteva rendere vagamente imprevedibile un finale già scritto dopo due scene. Al regista però va riconosciuto il merito di aver messo in scena uno dei tratti distintivi della nostra epoca, la voglia di nostalgia a tutti i costi, che ha misteriosamente  assalito non i vecchi ma le nuove generazioni. Pochi verbi coniugati al futuro e tanto bisogno di ricordare qualsiasi scemenza, di rivivere episodi successi l’altro ieri. Ma a ottant’anni come faremo?

Luca Fabbri

UMORISMO INVOLONTARIO


RANCORE SUSCITATO
EFFETTI SPECIALI BECERI

martedì 11 gennaio 2011

TRON LEGACY ovvero Se non c'è la trama almeno c'è la moto-fotonica


Dopo il Natale succede che uno si ritrova con la cintura che non si chiude più per colpa dei cenoni e la mente confusa dalla annuale scarica di idiozia prodotta da Boldi-De Sica. Ma è inutile negarlo: al cinema si va soprattutto per intrattenimento, anno nuovo, stessa vita. Quindi sotto col prossimo kolossal. Tron: Legacy è un fumettone che sarebbe sciocco snobbare, perché se non altro è una vera goduria per gli occhi e per una volta non fa venir voglia di prendere a bastonate la cassiera dopo aver speso tre euro in più per occhialini 3D che danno solo noia e non servono a un tubo. Qui il 3D ha un senso eccome, visto che l’intero film non è altro che un’interminabile sequenza di effetti speciali.
Dice: ma la trama dove la metti? Beh una trama si trova. Fa un po’ acqua in qua e in là, c’era da immaginarselo, ma a un film del genere glielo si può anche perdonare. Quello che invece non si perdona a Tron è la consueta dose di scene con montagne di calci e schiaffoni in stile Matrix, capolavoro di un decennio fa che però ha rovinato buona parte dei film d’azione degli anni successivi, in cui guardacaso a un certo punto compare sempre un tizio che volteggia da una parte all’altra tirando sganassoni al rallentatore senza spettinarsi mai e con la camicia curiosamente in piega.
Tron per fortuna offre anche altro. E’ il seguito del film che nel 1982 aveva fatto un casino pazzesco, considerato pura avanguardia da legioni di fan perché metteva in scena per la prima volta la realtà virtuale. La meteora Steven Lindsberger era diventato dal nulla una celebrità come regista, salvo poi sparire dalla circolazione dopo aver collezionato un flop dietro l’altro con le pellicole successive.
Ma gli schei sono schei e quando la Disney bussa alla porta sarebbe da cretini non farsi trovare in casa. Così il nostro ha scritto e prodotto questo nuovo capitolo, diretto dallo sconosciuto Joseph Kosinsky. Al quale è stato staccato un assegno di 170 milioni di dollari per non badare a spese e mettere in piedi questo frullatone fatto di sfavillanti costumi minimal, rombanti veicoli virtuali, mobili rigorosamente moderni e cool, bonazze galattiche, colonna sonora house (dei bravissimi Daft Punk), resistenti contro l’impero, imperi contro i resistenti, e raffiche di luci al led sparate negli occhialini 3D.
Poi sì, da qualche parte c’è anche la storiellina di Sam Flynn, figlio del geniale programmatore ed ex amministratore della ENCOM dato per disperso negli anni ‘80, dopo essere stato risucchiato dal mondo virtuale che lui stesso aveva creato. Il ragazzotto potrebbe godersi la vita con le palate di miliardi di papà e invece vuol farsi del male. Sam entra nella scalcinata sala giochi di famiglia e dietro a un cabinato anni ‘80 trova il laboratorio del vecchio padre. Pa’, farò di tutto per trovarti e portarti a casa. Inserito il gettone, il videogioco comincia. Questo - dicevamo - l’inizio della storiellina, che quindi c’è. Virtualmente, si intende.
Luca Fabbri

UMORISMO INVOLONTARIO


RANCORE SUSCITATO


EFFETTI SPECIALI BECERI